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NO AL CANONE RAI SULLA TELEFONIA MOBILE



Non serve rimodulare il sistema attuale di riscossione. Semmai è ora di rivedere tutta la normativa sul canone Rai, ancora basata su un Regio Decreto, caricando il prelievo sulla fiscalità generale, in base al reddito e con precise esclusioni, così da ridurre i costi e tutelare le fasce più deboli. Convocare le Associazioni Consumatori riconosciute dalla legge, facenti parte del CNCU, per discutere di eventuali nuove modalità di prelievo A nostro avviso, la proposta del Ministro Giorgetti di estendere il pagamento del canone Rai, ora inserito nella bolletta elettrica, ai detentori di uno smartphone perché è possibile vedere i programmi televisivi anche da questi dispositivi, giustificando tale scelta con ipotetiche riduzioni di spesa per i consumatori, è inaccettabile per una serie di ragioni, che andiamo ad elencare:

  • il canone Rai attualmente è una tassa sulla proprietà dell’apparato di ricezione presente nell’abitazione o nell’ufficio (abbonamento speciale), quindi un abbonamento familiare e non solo personale, mentre la telefonia mobile ha valenza personale, contraria quindi al principio istitutivo del canone

  • la visione dei programmi televisivi tramite smartphone non è legata all’apparecchio in sé, ma ad internet. Si vuole tassare tutto ciò che è possibile fare collegandosi ad internet?

  • il trasferimento del pagamento del canone Rai sulla telefonia mobile è di più difficile attuazione perché questa è basata su ricaricabili e non su bollette.

Per noi, è inutile trasferire la riscossione del canone da una bolletta all’altra, considerato che l’attuale prelievo funziona bene e non ha prodotto contenziosi. Semmai, poiché il servizio pubblico viene utilizzato da tutti i cittadini anche non in possesso del televisore grazie ad internet, bisognerebbe prevedere una nuova legge sul canone del servizio pubblico televisivo (oggi affidato alla RAI) caricandolo sulla fiscalità generale in base al reddito e prevedendone opportune esclusioni. Tale sistema permetterebbe di ridurre notevolmente il costo del canone, di farlo pagare a tutti, proporzionalmente al proprio reddito, tutelando, così, le fasce deboli. Tale modifica spetta naturalmente al Parlamento.

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